Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

mercoledì 24 febbraio 2016

Che cosa sia realmente la fede






C’è che queste cose mi fanno salire subito il sangue alla testa. Lo so dovrei fare mia quella famosa battuta che Renzo Montagnani ripeteva spesso nei panni di don Libero Occupato “e son fumino io!”  cosa che appunto finiva per farlo chiamare dai suoi fedeli don Fumino , proprio per la sua scarsa pazienza.
Però devo dire che le provocazioni sono eccessive. E soprattutto riguardano l’aspetto della razionalità, della coerenza, dell’onestà intellettuale che sono quelle che mi feriscono di più.
Perché posso accettare tutto -beh non proprio tutto, devo essere sincero-  ma quello che più di ogni altra cosa mi manda in bestia è questa incapacità di dimostrare linearità di pensiero, di farsi affogare in un mare di emotivismo che finisce per confondere la carità con il buonismo, la verità con l’opinione, e la fede con una religione da scaffale, dal quale prelevare quello che mi fa comodo.

Prendi questa vicenda delle unioni civili, ma possiamo risalire indietro a piacere fino al famoso referendum sul divorzio nel 1976: trovi sempre un numero epsilon di cattolici adulti a piacere che ti dicono: io a queste cose credo, e non le pratico, ma perché limitare gli altri? Perché imporle anche a chi non crede?

Vorrei svelare il meccanismo logico razionale che sta dietro queste affermazioni perché è importante comprendere quali sia la fallacia logica, la bestialità di ragionamento che sottende a un’affermazione di questo genere, e che nega in profondità il valore della propria fede.

Per farlo parto da un esempio: ammettiamo di partecipare un corso universitario di medicina e di sentirci dire da un luminare, dal massimo esperto sull’argomento della lezione, che è bene non mangiare  scaglie di amianto –sto facendo un esempio paradossale proprio per essere più efficace- perché inevitabilmente moriremmo.
Qual è quel pazzo che si sognerebbe di dire: “io credo a questo docente, e quindi non mangio amianto, ma perché impedirlo a coloro che non credono in lui?”.

Questo il punto specie quando parliamo di una religione. Dobbiamo chiederci che cos’è una religione. Dobbiamo chiederci che cos’è la religione cristiana nella quale diciamo di credere.

Non è una sorta di galateo che vincola coloro che credono che un certo tizio, vissuto grosso modo 2000 anni fa, che si faceva chiamare Gesù e si autodefiniva il Messia, pretendendo di essere vero uomo e vero Dio, ci ha lasciato in eredità attraverso la Chiesa e che contiene una serie di indicazioni le quali debbono essere seguite da coloro che sono propensi a credere che quell’uomo non fosse un millantatore, ma fosse realmente Dio.

Perché se ciò che c’è stato tramandato, attraverso le Scritture e attraverso la Chiesa, fossero dei suggerimenti validi solo e soltanto per coloro che credono in Lui, allora ci sarebbe da deridere questi fedeli, dovremmo stracciarci le vesti e con umiliazione guardarci allo specchio insultarci per quanto siamo creduloni!

Dovremmo seguire allora lo stesso metro: poiché nel decalogo sta scritto “non rubare”  e “non uccidere” dovremmo pensare che questo sia valido solo per coloro che credono in Dio, per tutti gli altri invece non sono norme vincolanti.

Non è questo la religione, non è questo la pretesa cristiana, la quale si basa non su una rivelazione, ma addirittura sul messaggio diretto di Dio che si è fatto Uomo per noi.
Platone aveva scritto che all’uomo e negata la conoscenza delle leggi di Dio e che potrebbe conoscerle se e soltanto se Dio stesso venisse sulla terra per spiegarcele.  Questo è quello che credono i cattolici: pacchetto completo, prendere o lasciare. Non si può scegliere cosa portare a casa.

O mi fido di Dio o non mi fido non ci può essere una fiducia metà.

Perché fidarsi di Dio che cosa vuol dire: vuol dire credere che Lui ci ama tal punto da averci dato una serie di regole per il nostro bene, per la nostra felicità, per la nostra salvezza. Qui e in cielo.

Un po’ come dire appunto:  non mangiare amianto o morirai.

Ma questo vale per qualunque uomo, sia che si fidi di Dio sia che non si fidi perché una verità in sé, questa è la pretesa del Dio cristiano:  che ciò che c’è stato rivelato è il bene per l’uomo. Per ogni uomo.

Se non fosse così, se non fosse un bene assoluto per tutti gli uomini, saremo dei disgraziati. Perché allora non vorrebbe per nulla credere,  anzi sarebbe esattamente il contrario: sarebbe una presa in giro, una catena, un castigo sulla terra.

C’è qualcuno che scherzosamente dice che tutto ciò che è piacere per l’uomo o fa male, o è peccato, o fa ingrassare. Infatti.
Dunque allora perché credere se quello che ci viene chiesto di fare è la negazione di un piacere e non è un vantaggio per noi?

Se non è un vantaggio per tutti gli uomini, perché deve esserlo per noi soltanto in virtù del fatto che riteniamo che il messaggio che Gesù ci ha dato sia quello di Dio?
Ma se lo è, perché ci rifiutiamo di aiutare i nostri fratelli a comprenderlo? Perché non ci battiamo per loro?
Perché non chiediamo allo Stato di proteggerli?

Perché questo il compito dello Stato, questo il compito delle leggi: proteggere il bene comune e proteggere ogni singolo cittadino.

Certo se il diritto avesse mantenuto il suo senso delle origini, Ma come ha spiegato mirabilmente Fabio Bartoli in una sua omelia di qualche tempo fa, il diritto è morto nel 1976.
Qual è infatti il compito del diritto? Il diritto nasce –con i Romani, prima di Cristo- per limitare l’egoismo del singolo –e quindi qui si riconosce in qualche modo l’esistenza del peccato originale che è la tendenza a privilegiare se stesso rispetto agli altri in modo disordinato- e proteggere il più debole.

La strada che il diritto ha preso dal 1976, della legge sul divorzio, è invece quello di esaltare l’egoismo del singolo, i suoi capricci, fregandosene totalmente del più debole. Un esempio di questi giorni? Non soltanto il famigerato ddl Cirrinà di cui tanto si parla, ma anche il tentativo di sottrarre la pensione di reversibilità, che è nata come strumento per difendere le vedove dalla povertà assoluta.

Le leggi dello Stato dovrebbero quindi aiutare tutti proteggendoli dal male,  sia coloro che credono nello Stato, sia coloro che si riconoscono nel governo al potere, sia coloro che non si riconoscono. Se applicassimo il medesimo criterio di questi cattolici adulti –vale per me ma non per loro-  allora potremmo dire che questa tassa non la pago perché non ci credo, che questa norma non la seguo perché non ci credo, che quella legge la ignoro perché non mi riconosco nel governo al potere.

Qui in discussione il concetto di bene assoluto,  e di come la religione, ogni religione,  sia sostanzialmente questo: l’interpretazione del senso della persone e del suo destino e la spiegazione di come la persona possa ottenere la felicità in questo e nell’altro mondo. 
Non è una norma di bon-ton, non è un galateo per iniziati,  non è la proposta a un’élite, Non è il programma di un personal trainer rivolto solo a coloro che vogliono dimagrire, sviluppare i muscoli delle braccia, correre una maratona.

È il progetto per la vita.

Quindi trovo demenziale, trovo assurdo da un punto di vista logico, trovo completamente al di fuori il concetto stesso di fede affermare che certe norme, che la Chiesa propone rifacendosi al messaggio di Cristo, debbano essere valide solo per i credenti.

Non soltanto questo lo trovo aberrante per ciò che ho detto sopra, Ma anche perché se così fosse io non potrei credere in un Dio che massacra coloro che credono in Lui con carichi inaccettabili, andando contro la loro natura, e che lascia liberi tutti gli altri di fare quello che vogliono semplicemente perché non si fidano della sua parola.

Il caso è molto semplice, non voglio adesso rifarmi alla scommessa di Pascal, In verità è tutto lì:
- o Dio esiste e quello che mi propone e il mio vero bene che io magari non riesco ad accettare a comprendere perché sono travolto e dal peccato.
- oppure non esiste, è un’invenzione dell’uomo, e allora, come diceva Dostoevskij,  tutto è lecito.


Non esistono vie di mezzo.

2 commenti:

  1. il cristianesimo non è un compromesso, o con me o contro di me, e per chi crede quell'essere contro di me è devastante, lo sappiamo, è una lotta tra il male e il bene, è una scelta perenne, una proiezione di noi stessi verso l'altro, è quasi una contraddizione a volte, il mio parroco in un momento buio per me mi disse di stare tranquilla e di pensare sempre che Dio ci vuole solo vedere felici, il problema è accettare quale felicità Dio vuole per me e quale voglio io, è un cammino lungo ma sto arrivando a credere davvero che mi sento serena e in pace solo quando so che seguo le leggi di Dio, è una lotta quotidiana, ma riusciamo ad andare verso gli altri e dire questo solo quando ne siamo consapevoli per la nostra vita, quando possiamo essere testimoni credibili.
    Ho sentito dire che la Fede è un dono, penso di sì, se crediamo che c'è un Dio che ce l'ha donata, a noi la scelta di accettarla e poi di curarla, proteggerla, farla crescere e farla scegliere nella nostra vita.
    lella

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    1. Il cristianesimo non è mai contro le persone, ma è contro ciò che fa male all'uomo. Gesù nei Vangeli è sempre accogliente con chiunque, ma sempre intransigente contro gli errori. Sempre e in molto molto forte.
      Per Lui è facile tenere in equilibrio la famosa bilancia paolina: veritates facientes in caritate. Per noi no. È una lotta devastante, istante per istante.
      Chiunque non riesce a mantenere l'equilibrio fa danno, fa danni tragici dalle conseguenze terribili.
      Io credo che spiegare che cosa sia la fede sia necessario. E questo buonismo dilagante che sta dentro la follia del "che male fa a te?" oppure "ma lui è libero" è sopratutto codardia, ignoranza e pavidità.

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